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  • dr. Michela Bombardini

Riflessioni sul Coronavirus


Ci ho messo molto tempo prima di convincermi che alcune dotazioni tecnologiche di cui siamo in possesso possano davvero essere una risorsa. Sono sempre stata molto scettica riguardo all'utilizzo dei social (lo sono ancora, soprattutto quando massiccio!) o di essere particolarmente visibile attraverso internet. Questo periodo, in cui anche il mio modo di lavorare è cambiato, mi ha costretta a riflettere molto sugli strumenti a mia disposizione e sull'uso che intendo farne e in parte li ho certamente rivalutati. Così, pur non avendo grandi competenze sul piano grafico, mi sono dedicata a costruire un mio sito internet personale e ho deciso di inserire una sezione "Blog" in cui poter condividere alcuni pensieri.

Per prima cosa ho voluto dedicarmi ad alcune riflessioni che riguardano questo difficile momento che stiamo vivendo a causa del Covid-19.

Nonostante molti comprendano che le misure restrittive indicate dal governo siano fondamentali, molto ne soffrono. Vorrei, quindi, partire dal concetto di LIMITE. L’ISOLAMENTO necessario che ci è stato imposto ha limitato notevolmente le nostre attività quotidiane ed è qualcosa a cui noi non siamo abituati. Il limite si scontra inevitabilmente con il nostro senso di onnipotenza, con cui pensiamo e talvolta ci illudiamo di poter avere un controllo sulle cose. Ci sentiamo, quindi, più fragili, più vulnerabili…è come il “no” che ci dicevano i nostri genitori da piccoli e come quello che siamo chiamati a dire ai nostri figli, adesso più che mai. Questo ci priva della nostra indipendenza, conquistata nel tempo faticosamente. Avere dei limiti, essere isolati, da soli o con la propria famiglia, il fatto di non poter vedere gli amici, i parenti, le persone care, non poterli toccare, per quanto sia possibile mantenere un contatto virtuale grazie alle tecnologie, ci porta a fare i conti con il sentimento della solitudine e questo genera tristezza, rabbia, a volte paura, emozioni che se contenute sono molto sane in questo periodo. Non siamo abituati ad avere sospensioni, viviamo nell’epoca della velocità, basta pensare alle mail sul cellulare, la messaggistica istantanea, e tendenzialmente cerchiamo di evitare i sentimenti depressivi facendo cose, programmando viaggi, cene, aperitivi, attività fisica, ecc, ma in questo momento occorre fermarci, rimanere in sospeso, ascoltare le emozioni che stiamo vivendo. Abbiamo a che fare con meno mondo oggettivo e più mondo soggettivo e possono risuonare le angosce più profonde insite in ognuno di noi, siamo tutti alle prese con quello che Freud aveva definito “il perturbante”, fuori e dentro. L’altro diventa una minaccia, ci si guarda con sospetto, può contagiarci, l’altro diventa il virus stesso. Ma è anche vero, però, che possiamo essere anche noi stessi a contagiare l’altro. In tutti i casi, quindi, c’è un altro da considerare, riconoscere e proteggere, fuori e dentro. Dicevo poco fa che l’esplosione del virus ha prodotto un isolamento, ci ha dato dei limiti entro cui stare, in altre parole potremmo dire che ha generato un CAMBIAMENTO. Il cambiamento è qualcosa che spaventa ognuno di noi. Tutto quello che abbiamo costruito per creare il nostro equilibrio subisce ora una scossa fortissima su cui non abbiamo controllo e che può far crollare la nostra impalcatura che, se anche con qualche piccola crepa, reggeva. Sentiamo, così il bisogno di riorganizzarci, fuori e dentro.

E’ possibile dire, quindi, che se a livello esterno possiamo “fare qualcosa”, come rimanere in casa, utilizzare guati, mascherine, ecc., a livello interno, emotivo, l’impatto è molto forte, il terremoto interno si fa sentire. E’, quindi, un tempo sospeso, un tempo in cui occorre provare a fermarsi e vivere il tempo presente, ascoltare le nostre emozioni, poterle riconoscere e pensarle in modo da potergli dare un senso per riuscire a stare dentro alle cose, senza caderci dentro. Sicuramente questo tempo ci priva di prospettive future ma ci offre (come ha giustamente detto un collega qualche giorno fa in un’intervista) un’opportunità per poterci porre quelle domande che guardano dentro e non quelle che ci facciamo di solito che guardano fuori.

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